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Fellatio Si Grazie





“Ti facissi un pigiamino ri saliva co’ rinforzu ‘ntò cavaddu” (ti leccherei tutta concentrandomi su un cunnilingus) fu uno dei tanti cortesi abbocchi da corteggiamenti di strada palermitana ai quali, immagino, le parlamentari del Pd avrebbero reagito con moltissimi mancamenti.

La strada di Palermo d’altro canto è un po’ così: quando tu passi sei come un link condiviso su un social network e chiunque si prende il diritto di dedicarti la frase che preferisce. Così io ho conosciuto la metà dei sogni e dei desideri sessuali di taluni palermitani. Perché quando si pronuncia una faccenda che ha a che fare con il sesso state tranquille che si tratta di una sua fantasia.

Dunque ho saputo che con le mie tette avrebbero voluto farsi una sega, rivivere la primissima infanzia, addormentarcisi, uno voleva addirittura usarle come sfere per leggere il futuro. Qualcuno me le ha chieste in prestito per pensare e un tale, una volta, poggiò la mano su un seno e disse che da lì arrivano terminazioni nervose che gli avrebbero risvegliato i neuroni. Quando ero picciridda, dovete sapere, che averci le tette, che dalle mie parti si dice Minne, pronunciato come Minnie di Minnie e Topolino, significava innanzitutto avere una specie di mensola dove compagni vari schiacciavano pisolini, nascondevano puzzuddicchi ri carta e cianfrusaglie varie, e, all’occorrenza, mi dicevano che l’altro strumento proibito si chiamava “sticchio“. Mi sto chiedendo adesso: avranno mai detto la parola “sticchio” alla Marzano? Vabbè, passiamo avanti. La parola sticchio era assai raro che si associasse ad altro sticchio. L’omofobia nell’adolescenza è un fatto certo e dunque sticchio e ciolla, o pinna, pinnuzza, o minchia, erano destinati a stare insieme e così sarebbero stati felici e contenti.

Lo sticchio, a differenza delle minne, quando cammini non si vede e dunque i riferimenti degli ammiratori di strada su quella zona del mio corpo erano più vaghi. Essendo che è una cosa della quale immaginano una conformazione a buco che parte da un lato e finisce più o meno nell’orecchio, il desiderio espresso era di interpretare il ruolo di un trapano a tre punte, di perforare il monte bianco, di toccare vette irraggiungibili e c’era l’immancabile “veni ccà che ti faccio donna“.

Il culo era generalmente oggetto di osservazioni di scarso profilo filosofico. Lì ci si dedicava alla geometria. E’ tondo, a pera, parrebbe quasi un parallelepipedo, no, è un cilindro, invece è una doppia sfera, dura, citrigna, un mamma mia chi ti facissi, che ci stava sempre bene e per finire un lieto e più romantico “ti mittissi a picurina” che era una specie di invito a festa.

L’altra zona di interesse era la bocca. Le labbra, la lingua, fino ad un certo punto ho immaginato che il gelato fosse stato creato apposta per farci esercitare nei preliminari di un pompino, perché, confesso, la prima volta che ne feci uno andò proprio così. Iniziai di lato, poi un po’ giù, poi un po’ su, poi succhiavo e leccavo e all’improvviso ops mi si raddrizzo il cono e non avevo mai visto una cialda così citrigna.

In strada non ti dicono se e come resti incinta, come salvaguardare la tua salute, quando e come il piacere ti può toccare, qual è la parte della sessualità che puoi indagare per te stessa, a parte quella in cui impari a dare piacere, perché la cosa che probabilmente a Palermo le parlamentari del Pd non avrebbero apprezzato è il fatto che è una scuola di educazione sessuale a cielo aperto dove ti educano gentilmente a far godere. Però ricambiano, eh, appunto. La prima volta che sentii parlare di cunnilingus fu a proposito del pigiamino di saliva con il rinforzo sul cavallo. Un po’ contorto ma d’effetto. Poi c’era l’eterno riferimento al ditalino masturbatorio, ché poi era la cosa più facile da gestire in fai da te. E quando si passò alla penetrazione devo dire che ero già un’amante navigata. A livello teorico.

La cosa che ho imparato soprattutto è stata l’ironia, la leggerezza, l’atteggiamento per niente moralista. Ero assai timida da piccola ma poi crescendo trovavo le risposte, per dire si o no, rispondere a tono, rifiutare senza scandalizzarmi, a volte, con il mio italiano da colonia savoiarda (maledetti!), ché bisognava impararlo a casa perché a scuola nessuno valorizzava il tuo dialetto, mi ritrovavo a chiedere al tizio cosa significasse quel tal termine pronunciato in dialetto stretto. Già solo chiederne il significato disinnescava, perché alla fine dietro chiunque io abbia incontrato, salvo stronzi senza fine con i quali è impossibile parlare, c’è sempre una risata, un po’ di autoironia, pronti a venir fuori.

Da grande poi attraversare la strada diventò semplicemente un modo per ripassare i tanti saperi rubati e ereditati. Dunque, pensavo, se mai qualcuno a me dovesse chiedere se ho fatto pompini in vita mia, ma certo, io direi, eccome se li ho fatti, e spiego anche come, perciò ti siedi, mi ascolti e te lo fai raccontare per filo e per segno senza mai toccarti, grattarti, e non devi neppure arrossire. Ti spiego, sussurrando, che te lo prendo piano in per di qua e poi lo giro in per di là e poi lo lecco in per così e poi lo succhio in per colà, e sono davvero brava, che ti credi… Se tu mi chiedi se l’ho toccato, preso, rigirato, goduto, avuto, bagnato, te lo racconto come se fosse l’ultima storia che tu dovrai ascoltare nella vita. Infine ne avrai talmente voglia che rimarrai consumato, ancora lì, con le tue fantasie irrealizzate, e se non mancherai di darmi della troia per inappagamento dirò che ovviamente lo sono e lo sono anche tanto. Sono una troia senza se e senza ma. Sono una porka che ti fa sospirare porkaggine anche a distanza. Sono una tale passionale creatura che dovrai pentirti per le domande che mi hai fatto. Infine se ritieni che quanto ti avrò detto costituirà una specie di approccio tra me e te e lì che sbagli, perché tu chiedi e io rispondo e rispondo proprio bene. Dopodiché però ciao. D’altronde, che altro potresti voler chiedere a quel punto?

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